La Slovenia ha dichiarato ufficialmente la sua indipendenza dalla Federazione Jugoslava dopo il referendum svoltosi nel dicembre precedente. Il governo di Belgrado si è opposto con fermezza alla decisione e, insieme allo Stato Maggiore della Difesa, ha deciso di anticipare le manovre militari previste per la fine del mese, inviando nella repubblica secessionista un massiccio contingente di uomini e mezzi. In risposta, il governo italiano ha chiuso le frontiere, istituendo posti di controllo dell’Esercito.
La mattina seguente, alle cinque, Mario Boccia, amico e collega fotoreporter, viene a prendermi a casa. Abbiamo deciso di partire con la sua Volkswagen Golf blu , più affidabile della mia spartana Panda 45. La macchina è stipata: attrezzatura fotografica, una valigia con qualche ricambio e viveri. Non abbiamo giubbotti antiproiettile né elmetti; non li possediamo e speriamo di non averne bisogno.
Verso mezzogiorno ci fermiamo a Trieste a caricare un collega del Manifesto, con cui Mario lavora spesso. Pranzo veloce e poi si riparte verso la Slovenia. Alla frontiera troviamo i militari italiani: giovani soldati dietro sacchi di sabbia, con mitragliatrici pesanti puntate verso il confine, proprio sotto il cartello Italia / Slovenia . Sembrano posizionati apposta per essere fotografati, e ci salutano con un cenno mentre passiamo.
C'è una foto, scattata in quei giorni, a cui sono particolarmente legato. In un solo scatto racconta la vita di una città in guerra: un soldato armato controlla un piccolo ponte, mentre una giovane madre lo attraversa spingendo un passeggino. Ha la figlia più grande sulle spalle, e la bambina, a sua volta, stringe forte una bambola , guardando il militare con occhi meravigliati, la bocca leggermente aperta. Un frammento di quotidianità che si fa simbolo di un passaggio epocale.